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LA FATICA

A pensarci bene il concetto di fatica è apparentemente banale. Quanti di voi dopo o durante lo svolgimento di una qualsiasi attività, non solo fisica, ha sperimentato una riduzione della propria prestazione e una sgradevole sensazione di stanchezza? Ecco proprio questa è la fatica.
È una sensazione in cui ci imbattiamo quotidianamente, chi più e chi meno, e per quanto possa essere ritenuta banale e di facile comprensione è uno degli argomenti di maggior dibattito all’interno della comunità scientifica.
La fatica può essere definita come “la diminuzione, sia percepita sia oggettivamente misurata, della capacità fisiologica di eseguire un lavoro” ed è parte fondamentale del processo allenante. Ai nostri giorni molti cercano qualsiasi modo per sconfiggere nel minor tempo possibile la fatica (integratori, amminoacidi ramificati e non, idroterapia, massaggi, ecc.), senza tener conto che essa non deve essere sconfitta, ma compresa.
In origine la fatica veniva collegata esclusivamente ai dolori o affaticamenti muscolari percepiti dal soggetto, ritenendo che essa fosse dovuta principalmente ad un esaurimento delle risorse energetiche e all’accumulo di sostanza di scarto. Col tempo e dopo numerosi studi invece, oggi sappiamo che la fatica è un processo molto più complesso e si può parlare di fatica periferica o centrale, sebbene non sia sempre possibile distinguere questi due concetti.

FATICA PERIFERICA
Una delle prime teorie riguardo la fatica periferica puntava il dito contro gli scarti metabolici (es. l’acido lattico prodotto durante gli sforzi anaerobici lattacidi): essi si accumulano, interferendo con le funzioni cellulari. Oggi sappiamo che l’acidosi può ridurre la contrattilità delle cellule muscolari, ma in aggiunta a questo anche la riduzione delle scorte energetiche, accumulate all’interno delle cellule muscolari prevalentemente sotto forma di glicogeno, sembrano implicate nel processo di fatica. Quest’ultimo concetto introduce l’argomento del danno muscolare: durante l’esercizio fisico, soprattutto durante le contrazioni eccentriche, si creano delle microlesioni che riducono l’efficienza meccanica del muscolo. Sono stati identificati numerosi fattori responsabili della fatica periferica, tra i quali:
 esaurimento delle scorte energetiche (glicogeno muscolare, ATP);
 alterazioni della struttura muscolare (microlesioni);
 accumulo di prodotti del metabolismo (ioni H+, radicali liberi, ammoniaca, ecc.);
 calore;
 riduzione dell’eccitabilità muscolare;
 alterazione dell’equilibrio ionico (calcio, potassio, cloro, ecc.).

Per quanto riguarda il più famoso e bistrattato acido lattico, sappiamo che i suoi valori ritornano
normali dopo poco più di un’ora terminato l’esercizio e che quindi esso può essere responsabile della fatica muscolare in acuto e il suo smaltimento può influenzare il recupero a breve termine, ma non partecipa al recupero a medio-lungo termine.
Anche l’esaurimento delle scorte energetiche e l’accumulo delle microlesioni non possono essere considerate i principali meccanismi responsabili della fatica, altrimenti ci alleneremo fino ad uccidere le nostre cellule muscolari. Normalmente infatti un atleta subisce un calo di performance e interrompe la propria attività ben prima che le proprie cellule muscolari abbiano iniziato a suicidarsi. Qui si inserisce il concetto di fatica centrale, come altro elemento essenziale che dev’essere recuperato oltre alla fatica periferica.

FATICA CENTRALE
Secondo la Teoria della Fatica Centrale (Central Governor Model), proposta da Tim Noakes nel 1997, i nostri muscoli sono in grado di esprimere prestazioni superiori rispetto a quanto facciano normalmente, ma il sistema nervoso centrale (SNC) blocca continuamente sforzi estremi, probabilmente come meccanismo di protezione dai possibili infortuni. Soprattutto quando affrontiamo una nuova attività infatti il nostro corpo ci fa viaggiare “con il freno a mano tirato”, fino a che l’esperienza non insegna poi al nostro SNC che quell’attività è “sicura”. Il cervello quindi agirebbe da meccanismo protettivo con il fine di prevenire un danno eccessivo a carico dei muscoli, ma non solo. Tra i meccanismi implicati nella fatica centrale sembra rivestire particolare importanza l’aumento dei livelli del neurotrasmettitore serotonina e che una sua modulazione, ad esempio tramite l’assunzione di amminoacidi ramificati, possa agire posticipando il suo aumento e quindi il calo della performance. Anche le sinapsi (strutture che consentono la comunicazione tra i neuroni) e le giunzioni neuromuscolari (tra neuroni e cellule muscolari) si “stancano”; in questo processo di fatica neurale sembra essere implicato il calore.
L’aumento della temperatura corporea oltre valori critici condiziona infatti la prestazione, agendo su vari livelli centrali e periferici. La prestazione atletica quindi non dipende solo dalla “potenza del motore” ma anche dall’ “efficienza della centralina” che lo controlla. Leggendo fino ad ora viene da pensare che la fatica centrale sia solo di carattere neurale, mentre la fatica periferica solo di carattere tissutale-metabolico e che questi due fenomeni siano distinti, ma avvengano parallelamente ognuno per i fatti propri e in misura variabile a seconda del tipo di allenamento che effettuiamo, ma non è così.
Risulta infatti impossibile selezionare stimoli neurali puri (che causerebbero solo fatica centrale) o stimoli metabolici puri (che causerebbero solo fatica periferica), in quanto ogni allenamento causa sia uno stress centrale sia uno stress periferico. Così 10 ripetizioni di un esercizio monoarticolare (es. curl con manubri) non impegnano il sistema nervoso come 10 ripetizioni di un esercizio multiarticolare (es. squat, stacco o panca), i quali inoltre producono una risposta neuro-endocrina (di adattamento allo stress) maggiore rispetto ai primi; inoltre lo sforzo metabolico di un 10×10 non è lo stesso di un 4×1.

La fatica muscolare è quindi senz’altro un fenomeno ad eziologia multifattoriale che coinvolge diversi siti cellulari e meccanismi biochimici e che dipende dal tipo di esercizio svolto, dalla sua durata e intensità, quindi dal tipo di fibre coinvolte nel gesto atletico. Non esiste infine una distinzione netta tra fatica periferica e centrale: i muscoli comunicano con il cervello e viceversa, meccanismo indispensabile perché il corpo funzioni come un’unità unica.

Mike Bertoni 
Laureato in scienze motorie sportive e della salute e scienze dello sport

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