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SALUTE e MOVIMENTO

La salute è “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità” (OMS 1948). Il concetto di salute è andato modificandosi nel tempo, così come l’approccio nei confronti di essa; da una visione “passiva” della salute, vista esclusivamente come capacità di impedire alla malattia di fare il suo decorso attraverso lo sviluppo della medicina, si è passati ad un approccio maggiormente attivo e soggettivo, ovvero in cui il soggetto è coinvolto direttamente nella prevenzione e nel miglioramento della qualità della vita. È un processo lungo e complesso, che si può dire essere iniziato formalmente con la redazione della Carta di Ottawa nel 1986 da parte degli stati appartenenti all’organizzazione mondiale della sanità. Gli obiettivi posti con la Carta di Ottawa sono: costruire una politica pubblica per la tutela della salute, creare ambienti capaci di offrire sostegno, rafforzare l’azione della comunità, sviluppare le capacità personali, riorientare i servizi sanitari. Appare chiaro come da questi cinque punti fondamentali la salute richieda uno sforzo interdisciplinare ampio che passi dalla promozione dei comportamenti virtuosi e dello stile di vita, in particolare l’aumento dell’attività fisica per il wellness psico-fisico ed incentivare una corretta alimentazione. Aspetto cardine riguarda poi la riduzione della disuguaglianza sociale, i dati mostrano infatti un’accentuata discrepanza di obesità e sovrappeso nelle popolazioni meno abbienti ed istruite. Potenziare i sistemi sanitari nel loro complesso, a partire dal personale in contatto con i giovani e la promozione dell’attività fisica a tutte le età sono punti imprescindibili del programma nazionale.

Il paradosso a cui stiamo assistendo è però quello che ad un incremento di partecipanti nello sport soprattutto in età giovanile, non corrisponda una diminuzione della popolazione sedentaria che resta quanto meno stabile nel tempo. In Italia dal 1982 al 2015 la quota di praticanti sportivi in modo continuativo è passata dal 15,4% al 34,4% pari a più di 20 milioni di persone. Un risultato a livello numerico notevole e incoraggiante tuttavia “Rimane nel tempo molto elevata la quota di sedentari, ovvero di coloro che hanno dichiarato di non praticare sport o attività fisica nel tempo libero: dopo una forte diminuzione registrata tra il 2006 e il 2010, (dal 42,0% al 38,8%), a partire dal 2010 la quota di sedentari è stabile al 39%.” (dati istat.it, documento “pratica sportiva”, pagina 2). Ma cosa comporta la sedentarietà in termini di salute? Ogni anno nel mondo circa 40 milioni di persone muoiono a causa di malattie croniche non trasmissibili (MCNT), costituite in ordine di frequenza in malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie e diabete, malattie in gran parte attenuabili attraverso campagne di prevenzione della salute. Si tratta per una gran parte di morti premature (sotto i 70 anni), i paesi a basso e medio reddito sono i più colpiti, ne deriva un costo enorme in termini di spesa sanitaria, di cui circa l’80% viene impiegata per il trattamento delle MCNT (fonte epicentro.iss, documento attività fisica, pagina 9). L’invecchiamento della popolazione va sicuramente considerato tra i fattori predisponenti, il progresso in ambito medico ha portato infatti ad una aspettativa di vita che si attesta intorno agli 85 anni per le donne e 80 per gli uomini: “nel 2020 il 21 % della popolazione aveva 65 anni e più, rispetto al 16 % del 2001, con un aumento di 5 punti percentuali (p.p.). Osservando nello specifico il gruppo di 80 anni e oltre, la loro quota è quasi del 6 % nel 2020, mentre era del 3.4 % nel 2001, il che significa che la loro quota è quasi raddoppiata durante questo periodo” (istat.it/demografiadelleuropa). Ritornando alla nostra frase di apertura però vediamo come la salute sia un concetto più profondo che non deve essere valutato solo con l’aumento dell’aspettativa di vita, molto spesso gli ultimi anni di vita vengono purtroppo trascorsi con stato di malattia, perdita di autonomia e con una conseguente diminuzione della qualità della vita. In quest’ottica se si prendono in considerazione gli anni di vita passati in un buono stato di salute si può notare come la prospettiva di vita si attesti su valori decisamente più contenuti. Un parametro interessante per calcolare gli anni di vita “persi” in stato di infermità è il DALY, Disability Adjusted Life Year, adottato dall’OMS nel 2000 che può essere calcolato come la somma degli anni di vita persi a causa di morte prematura e gli anni di vita trascorsi con malattia o disabilità, mediamente circa 20 anni sono vissuti in tali condizioni. Il movimento inteso non solo come attività fisica strutturata ma anche rispetto agli spostamenti quotidiani, è una risorsa indispensabile e ancora non utilizzata a pieno nelle sue enormi potenzialità, i benefici di un regime di vita attivo riguardano il singolo e la collettività nel suo insieme.

 La cultura del movimento e il livello di istruzione sono indubbiamente un primo punto cardine su cui lavorare: l’ambiente in cui si cresce e si vive svolge un ruolo determinante sull’adempimento dei livelli adeguati di attività fisica, le famiglie a basso reddito presentano infatti livelli di pratica sportiva di molto inferiori rispetto al resto della popolazione e una tendenza inversa alla sedentarietà. Le disuguaglianze sociali incidono fortemente sulla sanità pubblica anche a causa di scelte alimentari che il più delle volte premiano i cosiddetti cibi spazzatura o junk food, prodotti ipercalorici a basso costo e di scarsa qualità. Un primo passo nell’orientare i giovani nelle scuole verso stili di vita migliori è stato fatto alla fine del 2021, anno in cui è stata approvata la legge che permetterà anche alle scuole primarie di beneficiare di docenti specializzati in scienze motorie, anche se le ore a disposizione restano due a settimane sia nella primaria che nella scuola secondaria di primo e secondo grado.

In Italia i bambini di 8-9 anni in sovrappeso sono il 21,3% (fonte epicentro.iss, documento attività fisica, pagina 44) dato che si attesta tra i primi in Europa, percentuale maggiore si ha nella fascia di età tra i 19 e i 69 anni dove addirittura il 42% risulta essere in eccesso ponderale, il 34% dei bambini dedica al massimo un giorno a settimana ad attività sportive (id). Nelle ultime raccomandazioni pubblicate dall’OMS nel 2020, bambini e adolescenti tra i 5 e i 17 anni dovrebbero invece ottenere una media di 60 minuti di attività fisica quotidiana durante la settimana, ed esercizi di potenziamento muscolare almeno tre volte a settimana. Le fasce di età più giovani sono quelle più sensibili all’esercizio fisico, il quale deve essere praticato sia in forma ricreativa che in una più strutturata e studiata da esperti del settore. I bambini posseggono un sistema nervoso non ancora maturo e vanno privilegiati attività che richiedono notevole impegno coordinativo e prevalentemente aerobico, capacità che si sviluppano in queste fasi di crescita. è consigliato inoltre svolgere più di un’attività sportiva a settimana evitando la specializzazione che spesso porta all’insuccesso e all’abbandono precoce dello sport.

La soluzione al problema crescente della sedentarietà non può essere solo praticare due ore di attività sportiva per due o tre volte a settimana. Togliendo le ore necessarie e fondamentali di sonno, nell’arco della settimana ognuno di noi ha a disposizione circa 112 ore produttive, impiegarne 6 al movimento potrebbe essere del tutto insufficiente se nelle restanti ore si adottano comportamenti sedentari. La società moderna è caratterizzata da ritmi di lavoro frenetici e la maggior parte delle persone afferma di non praticare attività fisica per questo motivo, d’altra parte gli spostamenti anche di breve durata avvengono per lo più con l’auto, a ciò si aggiunge il fatto che i lavori divengono nel tempo maggiormente statici e l’utilizzo di apparecchi elettronici e smartphone ha raggiunto livelli allarmanti. Il tempo speso davanti agli schermi ha dimostrato causare maggior assunzione di spuntini, interferire con i livelli di attenzione e compromettere la qualità del sonno, la quale è influenzata negativamente dalla luce emessa dagli strumenti elettronici. Il cambiamento degli stili di vita ha portato l’OMS alla conclusione che “every move counts”, ogni movimento fisico conta nel raggiungimento della salute. Dal sistema di sorveglianza “OKkio alla SALUTE” dell’istituto superiore della sanità emerge però che solo 1 bambino su 4 compie il tragitto a scuola a piedi o in bici, mentre tra gli adulti oltre il 50% degli intervistati trascorre meno di 10 minuti a settimana praticando la mobilità attiva, dati in netta controtendenza con la crescente preoccupazione destata dai cambiamenti climatici e dal riscaldamento globale. L’urbanizzazione riflette i suoi effetti negativi non solo sulla percezione di scarsa sicurezza che si ha quando si compiono spostamenti a piedi o in bicicletta, ma anche sul pesante inquinamento atmosferico e acustico, sull’isolamento sociale degli anziani e delle persone portatrici di disabilità. Muoversi più attivamente e in sicurezza è possibile, il compito delle istituzioni in questo periodo storico dovrebbe essere quello di coniugare le necessità economiche, sociali, ambientali e sanitarie promuovendo aree verdi, piste ciclabili e percorsi pedonali. L’uso di tragitti “green” anziché l’automobile si stima che abbia portato nel 2014 ad evitare l’emissione di ulteriori 1.540.000 tonnellate di CO2 grazie al solo 15% della popolazione che ha usato la bicicletta e di 1.968.000 tonnellate CO2 per i pedoni virtuosi (fonte epicentro.iss, documento attività fisica, pagina 53).

Una notevole riduzione del rischio di mortalità si ottiene già praticando 20-30 minuti di attività fisica quotidiana moderata o a bassa intensità, il che equivale al minimo raccomandato dagli enti nazionali, mentre restare seduti per più di 8 ore al giorno è equiparato a fattori di rischio quali il fumo di sigaretta e il consumo di alcol.

Tornando alla condizione di invecchiamento della popolazione non solo italiana, la pratica di movimento in modo mirato e affidato a esperti del settore, negli ultimi 20 anni ha acquisito una maggiore importanza anche se ancora non sufficiente: se prendiamo in esame l’ambiente delle palestre e dei centri fitness questi si sono trasformati notevolmente, si è passati da un ambiente esclusivo, o quasi, per bodybuilder ad uno adatto a tutti. I benefici dell’allenamento in palestra per gli over 65 sono in grado di aumentare il benessere psico-fisico, l’autonomia e l’autostima, tutti fattori essenziali per la salute. In particolare, allenare la forza è consigliato per ridurre il rischio di caduta e il conseguente allettamento, migliorare l’equilibrio, favorire la densità ossea, migliorare il sistema cardiovascolare e respiratorio, ridurre la percentuale di grasso corporeo migliorando in generale l’assetto lipidico e la percezione dell’immagine corporea. Va sottolineato che la palestra è anche ambiente di socializzazione, aspetto problematico nell’anziano il quale si trova di frequente in solitudine. L’attività fisica è in grado di esercitare la propria azione come un vero e proprio farmaco, a livello psichico diversi studi hanno messo in luce come possa attivare il sistema della serotonina e contrastare o prevenire i disturbi depressivi, permette anche di consolidare meglio la memoria e regolare il sonno. Il fenomeno positivo del movimento in età avanzata viene definito “active ageing” e contribuisce al cosiddetto “life long project” volto al potenziamento della qualità della vita.

In termini prettamente economici la sedentarietà costa al sistema sanitario nazionale 1.5 miliardi di euro (stime del 2012, fonte epicentro.iss, documento attività fisica, pagina 90), di cui la maggior parte sono attribuibili al diabete di tipo 2, “un modesto 10% di riduzione dell’inattività fisica potrebbe potenzialmente portare a una diminuzione di 39.000 casi di diabete e far risparmiare 107 milioni di euro in termini di costi diretti sanitari” (id). Le evidenze scientifiche a supporto dei benefici dell’attività fisica sono ormai di enorme portata, la scienza è ora in grado non solo di dirci che il movimento fa bene alla salute, ma anche in che forma praticarlo, per quanto tempo e per quante volte a settimana. È evidente, dunque, che da un punto di vista politico-istituzionale, incentivare la popolazione ad essere più attiva potrebbe garantire una società maggiormente produttiva e in salute, ridurre drasticamente l’impatto sulla spesa sanitaria e sul clima, favorendo un contesto urbano in cui la mobilità sostenibile rappresenti una valida alternativa all’automobile.

Giacomo Gamberini

Laureando in scienze motorie sportive e della salute

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